BERCHIDDA LIVE - UN VIAGGIO NELL'ARCHIVIO DI TIME IN JAZZ
Film
DOCUMUSICALE
25 ANNI DEL FESTIVAL DI PAOLO FRESU: UNO SPETTACOLO CONTINUO, DOVE OGNI STRUMENTO DIVENTA VOCE.
diGianfranco Cabiddu, Michele Mellara, Alessandro Rossi
durata: 94 Min. produzione: ITA (2023)
Link al sito: https://www.mymovies.it/film/2023/berchidda-live/
Nel 1994 il regista ed etnomusicologo Gianfranco Cabiddu contatta il trombettista e compositore Paolo Fresu per chiedergli di sonorizzare il film Sonos 'e memoria, montaggio di archivi della Sardegna rurale della prima metà del Novecento. Da lì Cabiddu comincia a seguire Time In Jazz, il festival internazionale creato nel 1988 da Fresu a Berchidda, il suo paese di nascita in provincia di Sassari che nelle prime edizioni, grazie a un manipolo di volontari, ospita gli artisti nelle proprie case. In quel borgo di duemilaseicento abitanti, Cabiddu torna da quel momento in poi ogni anno attorno alla metà di agosto a filmare le performance di musicisti di tutto il mondo.
Lungo venticinque anni di riprese, l'elenco di artisti si fa impressionante (nei crediti, indicati come "tutti i musicisti di Berchidda Live, nominarli a uno a uno sarebbe debordante") e l'archivio raggiunge le millecinquecento ore di girato. Queste di recente sono state digitalizzate e rese disponibili alla consultazione e ricerca da Home Movies, l'archivio nazionale del Film di Famiglia con sede a Bologna.
In co-regia con gli amici filmmaker bolognesi Michele Mellara e Alessandro Rossi (Fortezza Bastiani, God Save the Green, Vivere, che rischio), Cabiddu condensa in poco più di novanta minuti un'antologia di numeri musicali della storia di Time In Jazz, cadenzati da interviste d'epoca e dichiarazioni in macchina di Fresu e anche da estratti di film di famiglia.
Più che di un film concerto, si tratta - nella stessa linea del precedente lavoro di Mellara e Rossi, 50 - Santarcangelo Festival - di una specie di lungo trailer, o meglio di un best of di una manifestazione originale per concezione, metodo, filosofia. Una sintesi ragionata che traccia delle linee tematiche e fa da promozione del festival e dei suoi luoghi: la piazza del paese, ovviamente, con l'unico palco montato, e molti set non istituzionali: banchine delle piccole stazioni sulla ferrovia tra Oschiri e Olbia, strade, chiese, l'esterno di torri, perfino l'interno di un aliscafo.
La musica pervade i luoghi, se li prende, e i luoghi ne determinano l'intensità ("la gente viene qui per vivere, non per consumare, si porta via un pezzo di quel luogo perché ha vissuto qualcosa di forte", chiosa Fresu). E così il montaggio delle immagini esplicita le motivazioni profonde dell'operazione culturale: la volontà di Fresu di portare a Berchidda un po' di quell'Internazionale che è il mondo dei musicisti a lui vicini, creare una comunità che duri nel tempo, oltre l'evento estemporaneo, far conoscere un territorio anche aspro attraverso generi, luoghi e pratiche diverse di esecuzione.
E quindi accanto alla musica alta, come il pianismo eclettico di Uri Caine, stanno le sonorità più popolari: dalla banda di paese che è stato il primo innamoramento di Fresu bambino, alla macedone Kocani Orkestra che esegue la Sinfonia n. 40 di Mozart con fiati balcanici, dal virtuosismo giocoso e divertito di Stefano Bollani al serpentone di Michel Godard che accompagna il canto a tenore di Gavino Murgia. È uno spettacolo continuo, dove ogni strumento diventa voce, canale di espressione di una o più identità, una cerimonia laica dell'umanità. I nomi dei musicisti sono indicati da didascalie, ma a parte queste, il documentario non contiene altri apparati, né introduzioni o presentazioni deferenti.
In un festival dall'approccio antidivistico e privo di palchi che mettano una distanza tra chi suona e chi ascolta, parlano le immagini e soprattutto i suoni di un'esperienza innovativa, in perenne cammino. Perché Berchidda è anche luogo di arte performativa, come nel caso delle pietre sonore di Pinuccio Sciola suonate dal Pierre Fauvre Quartet, o il teatro di strada di Erri De Luca ("non esiste nessuna frontiera per chi va a piedi"), o dei gesti pittorici eseguiti durante i concerti. Musica, quindi, ma non solo, perché questa non è niente senza la comunità che l'ascolta. E infatti, paradossalmente, colpiscono, pescate con pazienza da questo archivio mastodontico, le molte immagini del pubblico: coinvolto, assorto, estasiato, felice, liberato (a volte letteralmente accampato). Sono la riprova della riuscita di un esperimento di successo: una festa della reinterpretazione, dell'incontro e mescolanza dei generi musicali. Tra standard e improvvisazione e tra popolo e popolo.
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