Grand Budapest Hotel
(The Grand Budapest Hotel)
Film
Commedia
Una riflessione sull'arte del narrare che può permettersi di parlare della realtà profittando di quanto di meno realistico si possa escogitare
diWes Anderson
conSaoirse Ronan, Tilda Swinton, Léa Seydoux, Ralph Fiennes, Bill Murray, Edward Norton, Jude Law, Owen Wilson
durata: 100 min produzione: GER-U.S.A. (2014)
Link al sito: http://www.grandbudapesthotel.it/
Monsieur Gustave è il concierge ma di fatto il direttore del Grand Budapest Hotel collocato nell'immaginaria Zubrowka. Gode soprattutto della confidenza (e anche di qualcosa di più) delle signore attempate. Una di queste, Madame D., gli affida un prezioso quadro. In seguito alla sua morte il figlio Dimitri accusa M. Gustave di averla assassinata. L'uomo finisce in prigione. La stretta complicità che lo lega al suo giovanissimo neoassunto portiere immigrato Zero gli sarà di grande aiuto. Per occuparsi di questo film di Wes Anderson (presentato in apertura alla 64^ Berlinale) è necessaria una premessa di carattere letterario. Il film è dedicato a Stefan Zweig, scrittore austriaco tra i più universalmente noti tra gli anni Venti e Trenta. Animato da un convinto pacifismo si vide bruciare nel 1933 ciò che aveva scritto dai nazisti. È alle sue opere (tra cui un solo romanzo) che il regista ha dichiarato di ispirarsi per questo ennesimo viaggio in un mondo tanto immaginario quanto affollato di riferimenti alla realtà. A partire da quella che potrebbe sembrare solo una raffinata scelta tecnica e che invece diviene una precisa indicazione di senso. La ratio del film (cioè il formato della proiezione) cambia tre volte e finisce con lo stabilizzarsi sulla cosiddetta "academy ratio" che è stata quella della storia del cinema classico fino a quando arrivarono il CinemaScope e il VistaVision. Questo ci rivela come Anderson abbia voluto rifarsi alle opere dei Lubitsch e dei Wilder innervandolo con il suo ormai classico caleidoscopio di situazioni e di attori. Perché in questa occasione ai quasi immancabili Bill Murray ed Owen Williams si aggiungono new entries che vanno da Ralph Fiennes a Murray Abraham passando per l'esordiente Tony Revolori che non solo si carica del ruolo di coprotagonista ma finisce con il rappresentare l'immigrato costantemente nel mirino di tutti i razzismi grazie anche al suo volto che è quasi un coacervo di etnie (figlio di guatemaltechi sembra talvolta arabo e talvolta ebreo). Come il Chaplin de Il grande dittatore e il già citato Lubitsch di Vogliamo vivere Anderson vuole farci sorridere delle innumerevoli avventure a cui sottopone i suoi protagonisti. Questo però non cancella, anzi accentua, la riflessione su quelle frontiere che troppo a lungo in Europa hanno costituito punti di non ritorno per decine di migliaia di persone arrestate e fatte sparire e oggi si ripresentano con altre modalità meno tragicamente evidenti ma sempre fondamentalmente ostili. Questo film però vuole essere anche, fin dal suo tanto astratto quanto acutamente lieve inizio, una riflessione sull'arte del narrare. Un'arte che può permettersi di parlare della realtà profittando di quanto di meno realistico si possa escogitare. Le stanze del Grand Budapest Hotel sono innumerevoli quanti i personaggi che le abitano o vi entrano anche solo per un'inquadratura. L'instancabile e vivace fantasia di Anderson possiede la chiave di ognuna di esse. Giancarlo Zappoli
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