I racconti di Parvana
(The Breadwinner)
Film
Animazione
UN FILM VOLONTARIAMENTE DIDATTICO CHE SPIEGA AI PIÙ GIOVANI IL DRAMMA DEL CONSERVATORISMO RELIGIOSO, CON PRUDENZA MA SENZA ESSERE MAI INGENUO.
di Nora Twomey
con (voci originali): Saara Chaudry, Laara Sadiq, Shaista Latif, Ali Badshah, Noorin Gulamgaus Kawa Ada, Soma Chhaya, Kane Mahon, Ali Kazmi, Kanza Feris
durata: 94 min. produzione: CAN (2017)
Recensione di Marzia Gandolfi
C'era una volta Parvana, una bambina che voleva salvare suo padre, imprigionato dai talebani perché insegnava a sua figlia a leggere e a scrivere. Nel regno oscuro dei fondamentalisti islamici afghani, Parvana taglia i suoi lunghi capelli e indossa gli abiti di un ragazzo per passare inosservata, mantenere la sua famiglia e ritrovare suo padre, veterano di guerra che ha perso una gamba contro i sovietici.
Come i bambini di Vittorio De Sica, Parvana ci guarda. Guarda il mondo dritto negli occhi tenendo testa all'oscurantismo talebano col potere delle storie antiche, insensibili agli assalti del tempo presente.
Undicenne cresciuta a Kabul sotto il regime talebano, Parvana è la nuova causa di Angelina Jolie. Nata dalla penna di Deborah Ellis ("Sotto il burqa") e portata sullo schermo da Nora Twomey, è la protagonista di una trilogia, un racconto animato sull'emancipazione delle donne e sull'immaginazione contro l'oppressione. Perché i problemi per Parvana, come quelli di ogni bambina afghana, cominciano all'alba della vita. A quattro anni non giocano più con le bambole perché si occupano già dei fratelli, a sette sono considerate adulte quasi finite, casalinghe quasi esperte e mogli prossime che metteranno al mondo un figlio quando le coetanee occidentali hanno appena cominciato a sognare l'amore. D'altra parte l'Afghanistan detiene due dei record più tragici: la mortalità materna da una parte e la produzione di martiri dall'altra. Un flagello antico e una maledizione dell'epoca moderna.
Adottando idealmente un'altra figlia, che ha gli occhi verdi della 'ragazza afghana' di Steve McCurry, Angelina Jolie 'alza il velo' sulle bambine afghane e produce un film che denuncia la discriminazione di genere e l'assenza dei diritti dell'infanzia. Promuove e sostiene un cinema di animazione che trova sovente la voce giusta per dire energicamente la gravità della vita sotto i regimi estremisti, la voce di una collera fredda che combina lirismo e umanesimo.
Con Persepolis, Valzer con Bashir, Kirikù e la strega Karabà, I racconti di Parvana s'inscrive in quel cinema d'animazione politico di cui diventa la sintesi, oscillando tra immaginario e reale, tra film per adulti e favola per bambini, tra asprezza del quotidiano e slanci improvvisi verso il meraviglioso.
Il disegno in 2D sposa l'animazione di ritaglio e sposta la storia in un mondo onirico dove Parvana ripara, fuggendo la violenza e la barbarie. La rotondità del disegno, dai tratti intenzionalmente naïf, contrasta con la violenza delle situazioni vissute da Parvana. La realtà grigia di Kabul cede il posto alla magia di un'avventura immaginaria, l'animazione scivola in un mondo colorato fatto di collage di carta, di mostri e di eroi che troviamo nei libri per l'infanzia. Queste sequenze rendono il film permeabile a un pubblico più giovane semplificando la portata politica e sociale del suo intrigo. È in questi frammenti in fondo che risiede il senso del film. La favola inventata da Parvana per il suo fratellino diventa la freccia scoccata contro il nemico, le sue parole lo scudo per difendersi e l'arma per apprendere, ri-cantare il mondo, illuminarlo, ricordarlo.
Volontariamente didattico, il film disegna l'assurdità dell'oppressione patriarcale già denunciata nei Tre volti di Jafar Panahi, ma se il regista iraniano racconta la lotta delle donne in Iran contro il conservatorismo religioso al fine di accedere a delle professioni artistiche, la sorte delle donne afghane è ancora più funesta. Lavorare, parlare, comprare un sacco di riso o dei medicinali diventa un atto fuori legge, l'esterno è interdetto.
La casa per Parvana e le altre diventa una prigione. Il loro spazio si riduce a povere stanze e il loro ritmo è scandito da una ripetizione di gesti, sempre gli stessi. Anche i corpi sono (rin)chiusi dietro le maglie di un burqa. Senza uomini, i soli autorizzati a misurare la strada, a parlare e a lavorare, la sopravvivenza della famiglia è in pericolo. Ma Parvana ha una rivelazione, si guarda allo specchio e trova una faglia nella logica del totalitarismo talebano. Sospesa tra due età, le è sufficiente tagliare i capelli per cambiare genere, eludere la vigilanza, raggiungere il mondo e diventare la fonte di sostentamento della sua famiglia.
Prudente e pudico, I racconti di Parvana prende il suo soggetto sul serio e restituisce il dramma di un paese alla viglia della guerra, mantenendosi ad altezza di bambino senza essere mai ingenuo. Ed è probabilmente la gravità del suo proposito a cristallizzare il film in una messa in scena oculata che non riesce a rischiare, andare oltre la storia per sondare qualcosa di più grande e atemporale. Tranne il tempo di qualche favola dove la teatralità della mitologia sublima il dramma anonimo e terribile della guerra.
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