Le Nozze di Figaro

LIRICA

MUSICA

diG. Strehler (ripresa da Marina Bianchi)

con
P. Spagnoli, R. Gierlach, V. Priante, M. Gauc

durata: 187 min. produzione: Rai Trade (2006)

Link al sito: http://www.digimaonline.com/film.aspx?film_id=964

La recensione di Francesco Rapaccioni

Milano, teatro alla Scala, “Le Nozze di Figaro” di Wolfgang Amadeus Mozart

LA VITA E I SENTIMENTI SI TRASFORMANO CON IL PASSARE DEL TEMPO

In poche settimane ho visto tre importanti versioni delle Nozze di Figaro, notevolmente diverse tra loro.
A settembre all’Opera di Roma un Mozart crepuscolare, malinconico, autunnale, con i personaggi alla ricerca affannosa di una felicità che appare più come una speranza cechoviana che come qualcosa di concretamente realizzabile: la paura di restare soli.
A novembre al Carlo Felice di Genova, un Mozart tradizionale ma innovativo, intelligente ma non elitario, comunicativo e raffinato, divertente e metafisico: il diritto ad essere felici.
Ora, in attesa delle Nozze di Martone al San Carlo di Napoli, queste Nozze scaligere, nell’allestimento del 1981 firmato Strehler, Frigerio, Squarciapino (regia, scene e costumi), entrato a far parte della storia dello spettacolo, anche se oggi forse sembra un “già visto”, simile ad altri loro spettacoli, ad alcune commedie goldoniane.
Qui Strehler è il più possibile alla ricerca della verità, nel senso di trasmettere al pubblico la realtà dell’opera con la maggiore obiettività possibile. La cifra registica è riconoscibilissima in un allestimento filologicamente interessante, proprio per la dichiarata intenzione di rispettare al massimo le indicazioni del librettista e del musicista. Infatti Strehler conserva intatti la verve comica e le arditezze del testo e stempera gli attacchi diretti alle istituzioni giuridiche e all’assetto sociale, che Mozart e Da Ponte avevano già smorzato rispetto a Beaumarchais. Il sommo equilibrio che il regista ne trae permette di evidenziare alcune rivendicazioni e ribellioni, pur senza ostentazione, come se facessero parte del quotidiano, sottolineando che la vita ed i sentimenti si trasformano con il passare del tempo, in una giornata che in fondo altro non è se non la vita stessa.
Però è come se in questa regia (formalmente ineccepibile) mancasse un quid, il sottolineare che per Mozart l’amore non è più un capriccio ma destino, da cui deriva il timbro particolare di libretto e spartito, centrati sull’irrequietezza della ricerca, con ricorrenti ripiegamenti sulla nostalgia, quell’alternanza tra impulso ad amare e terrore di rimanere soli, in cui Mozart coglie l’incongruenza della natura umana.
Perché la vita e i sentimenti si trasformano con il passare del tempo: l’uomo entra in contatto con altre persone, soffre per situazioni di disagio, vive momenti di difficoltà, gioisce e si rallegra, compie un percorso di assestamento agli eventi che si trova ad incontrare sulla strada, non sempre rettilinea.
Infatti nella “folle giornata” tutto si svolge su un tavolato inclinato, una strada in salita per arrivare al matrimonio di Figaro e Susanna, sorpresi dall’apertura del sipario in un momento di intimità (Figaro ha le calze ma non le scarpe) e, come in Così fan tutte, l’azione è già iniziata e l’apertura del sipario l’ha colta nel suo svolgersi.
Il cast è appropriato sia nelle voci che nell’aspetto fisico. Perfetta è Diana Damrau nel ruolo di Susanna. Buona la dizione, ottima la voce, curatissima la recitazione. È il deus ex machina della commedia e ne è consapevole. La sua è una Susanna poco civetta me ben intenzionata a sposare il bel Figaro, energica, solare e sorridente, combattiva e determinata, poche idee in testa, ma chiare e ferme, arguta e concreta; una Susanna non in competizione con la contessa ma in rapporto di solidarietà per le disavventure amorose. La voce è bella, il fiato non cede, il recitativo ha buona dizione, gli attacchi sono limpidi. Bravissima come attrice.
Ildebrando D’Arcangelo è un Figaro dallo sguardo tenebroso e dalla recitazione impeccabile, la voce è sempre splendida nel timbro e nel colore, ma mi è sembrata un po’ opaca, stanca forse, tanto che a tratti il personaggio appare poco vigoroso e poco combattivo, come spento. Se la cavatina “Se vuoi ballare, signor contino” è cantata con padronanza di registri e di fiati, l’attesa “Non più andrai farfallone amoroso” manca di un certo guizzo nella voce e le oscillazioni nei vibrati sono troppo ampie.
Monica Bacelli è un Cherubino dalla splendida voce, appropriata al ruolo di fanciullo. Il paggio dall’aspetto androgino svolge la funzione del “caso”, latore di eventi inattesi ed imprevedibili che imprimono movimento all’opera. La Bacelli ha voce mediamente scura, modulata ed espressiva, che aumenta l’ambiguità sessuale e la insopprimibile vocazione amorosa. Fraseggio corretto, recitativi dalla dizione esatta, impeccabile nell’aria “Voi che sapete che cosa è amor”, cantata con tono languido e un poco malinconico.
Insieme alla Damrau, è Pietro Spagnoli il più bravo del cast. Il suo conte è compassato e distaccato, equilibrato, sereno, maturo, in parte appagato, ma per questo non meno incline a provarci con le donne che gli capitano per le mani (in questa “folle giornata” Susanna e Barbarina). Notevole è la capacità di mostrare, atto dopo atto, la sua umanità nella evoluzione (nella maturazione) del personaggio: all’inizio è un aristocratico seduttore, poi un marito geloso della moglie, poi è confuso dalla girandola di avvenimenti e le sue certezze vacillano, alla fine, quando chiede perdono alla contessa, mostra il suo lato più umano, quello debole e commovente, umiliato ma non avvilito nella dignità e nel rango. Spagnoli è avvenente come il ruolo richiede, naturalmente elegante, nobile e raffinato. La voce è bella nel colore e sempre controllata, ottimamente legata all’emozionalità del personaggio, i registri tutti perfetti, la dizione scandita e l’emissione impeccabile. Tanto nel cantato che nei recitativi Spagnoli dimostra una notevoli maturità ed interiorizzazione del personaggio, al punto che sul palco si impone come il vero protagonista, mantenendo sempre alta la concentrazione e gestendo fiato, voce e corpo con assoluta lucidità. I suoi duetti con Susanna sono tra i momenti migliori dello spettacolo.
Miriam Gauci è convincente nel ruolo di una contessa stanca, triste e sfiduciata, dal comportamento del marito e dalla vita, ma da subito, da “Porgi, amor, qualche ristoro” la voce sembra anch’essa stanca e debole (troppo!), come il personaggio che si aggira mestamente nella grande camera lussuosamente arredata, per cui l’annuncio della sostituzione durante l’intervallo a causa di un malore non stupisce. La sostituta Marcella Orsatti Talamanca, catapultata all’improvviso in scena (anche se viene prolungato notevolmente l’intervallo), si rivela brava interprete, commovente nell’aria “Dove sono i bei momenti” cantata con un’ottima tenuta fino in fondo. La Orsetti Talamanca si trova a suo agio con Spagnoli (era Elvira nel recente don Giovanni genovese di Livermore, in cui Spagnoli cantava nel ruolo del titolo) ed appare come una donna non arrendevole, ma bisognosa di intimità ed affetto. Il personaggio della contessa è suggestivo: nel primo atto si parla di lei ma non la si vede; al suo apparire è sola in una stanza enorme e la sua solitudine è ancorata al disamore del marito: “Porgi, amor qualche ristoro / al mio duolo, a’ miei sospir. O mi rendi il mio tesoro, o mi lascia almen morir”. Poi non ci pensa due volte ed arriva con intraprendenza a travestirsi nei panni della serva pur di riconquistare risolutamente l’amato marito.
Con loro i bravi Jeannette Fischer (Marcellina, con qualche problema di pronuncia, ma esilarante nel duetto con Susanna “Via, resti servita, madama brillante”), Maurizio Muraro (Bartolo, autorevole nell’aria “La vendetta, oh la vendetta”), Gregory Bonfatti (Basilio, che nel cantare “il ciel s’annuvola, rimbomba il tuono, / mista alla grandine scroscia la piova” agita il mantello nero simulando così il temporale come nella goldoniana commedia settecentesca), Nicola Pamio (Curzio), Oriana Kurteshi (Barbarina), Matteo Peirone (Antonio).
L’ottima orchestra della Scala è stata diretta in modo disomogeneo da Gerard Korsten, che ha dilatato i tempi, seppure questo ha funzionato nei recitativi. Altre scelte sono discutibili ed il risultato ha poco convinto.

FRANCESCO RAPACCIONI

Visto a Milano, teatro alla Scala, il 7 febbraio 2006

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