Parasite
Film
Drammatico
PALMA D'ORO A CANNES2019
diBong Joon-ho
conSong Kang-ho, Sun-kyun Lee, Yeo-Jeong Cho, Choi Woo-Sik, Hyae Jin Chang, Park So-dam
durata: 132 min. produzione: COR. (2019)
di Francesco Pozzo Voto: 9.0
Esce in questi giorni il capolavoro di uno dei più grandi registi contemporanei, uno di quei film di cui è difficile parlare troppo senza rivelare nulla e uno di quei pochissimi, questo lo possiamo dire, che si possono considerare geniali. Geniali nel ribaltare le convenzioni, nel sondare brillantemente le ombre e le ingiustizie di una società in decadimento, nel rivisitare i generi mescolandoli mirabilmente, nell’affrontare di petto la disperazione tingendola di grottesco con un sadico sorriso velato di sangue.
Ecco, Parasite è un film sulla disperazione, sulle tragicomiche peripezie di una famiglia di poveracci piuttosto scaltri che, appunto come parassiti, tentano di ascendere la scala sociale infiltrandosi in un ambiente estraneo succhiando il sangue di chi se la passa meglio di loro (basti vedere a tal proposito il folgorante momento iniziale in cui questo atipico gruppetto d’imbroglioni capitanato dal pater familias di un grande Song Kang-ho scrocca il wi-fi di un negozietto vicino al loro squallido seminterrato, ma l’elenco d’intuizioni abbaglianti è molto lungo).
E il film parla proprio di questo, della subordinazione e del classismo, delle inadeguatezze e delle contraddizioni di un Paese in crisi profonda che si rispecchiano inevitabilmente nei vizi e nei soprusi (coscienti o meno) dei suoi abitanti (ma non solo della Corea del Sud, il film è ovviamente universale), un’amarissima riflessione su quelle differenze di ceto, di classe e di cultura che sono barriere taglienti e mortali attraverso cui Bong Joo-ho, tornando ai fasti di Memories of Murder e dei suoi primi folgoranti film, ci ricorda con sguardo penetrante ed imprevedibile l’impossibilità di convivenza fra poveri e ricchi senza che i primi vengano fagocitati dai secondi (ma le conseguenze arriveranno per tutti), tema già affrontato in maniera forse un po’ bislacca nelle maglie del blockbuster hollywoodiano con Okja e Snowpiercer e che qui, tornato a casa, riesce invece a restituire nel suo nitore argentino raggiungendo una forma perfetta e arrivando all’essenza delle cose senza fronzoli e sottolineature inutili con un film elegante, limpido ma stratificato al tempo stesso che scava nelle viscere dell’anima indagando su ciò che viene taciuto e che turba avvolgendoci come una gelida coperta di fango tra squarci visionari e silenzi ovattati, impennate poetiche e presenze spettrali fino alle liriche ed angoscianti sequenze conclusive, frammentando e dilacerando una forma che mette continuamente in discussione le nostre convinzioni e il concetto stesso di visione e il cui splendido production design va molto al di là della semplice bellezza formale marcando abilmente differenze e rivalità alla base del racconto e della visione del suo autore (sulla scia di Ballard e Romero, la famiglia vive in un limbo tra due mondi, fra le gelide e levigate superfici delle abitazioni dei ricchi e il sottosuolo putrescente dei poveri fatto di bibliche esondazioni d’acqua, detriti e topi di fogna, e il film assume gradualmente e magnificamente le fattezze di un’apocalittica metafora su questo: sulla tragedia di chi è nato in trappola e tenta vanamente di risalire in superficie).
È un film importante, straziante, attualissimo, Parasite, memore del perturbante di Hitchcock (la scala sotterranea di casa Bates…), della lucida crudeltà di Ferreri e Buñuel ma anche del Servo di Losey e del Teorema di Pasolini, un nobile esempio di cinema senza compromessi foriero della lezione dei grandi maestri del passato che hanno dissezionato come entomologi i conflitti di classe e della borghesia e che Bong rielabora attraverso la sua cultura e il vissuto del suo Paese con un film che è sicuramente crudele e sferzante ma che nella sua metallica crudeltà racchiude tutta la complessità della condizione umana e del nostro tempo, indicandoci e disvelandoci qualcosa di profondo ed inquietante sulla nostra natura attraverso un dosaggio magistrale di farsa e tragedia, satira e commedia nera, horror e comédie de mœurs, ingredienti base di un’opera dolorosa e forse definitiva sulla sopraffazione e la prevaricazione, sulle differenze martorianti e sulla violenza alla base di una società che è poi di tutte le società, sulle illusioni dei poveri e sulla presunzione e le false convinzioni dei ricchi, sul fatto che siamo tutti subordinati a qualcun altro e che la libertà dalle catene sociali è l’illusione più grande fra tutte, sussurrandoci pacatamente che se le fondamenta sono marce siamo tutti destinati a soccombere.
Cento di questi film, Bong.
Ecco, Parasite è un film sulla disperazione, sulle tragicomiche peripezie di una famiglia di poveracci piuttosto scaltri che, appunto come parassiti, tentano di ascendere la scala sociale infiltrandosi in un ambiente estraneo succhiando il sangue di chi se la passa meglio di loro (basti vedere a tal proposito il folgorante momento iniziale in cui questo atipico gruppetto d’imbroglioni capitanato dal pater familias di un grande Song Kang-ho scrocca il wi-fi di un negozietto vicino al loro squallido seminterrato, ma l’elenco d’intuizioni abbaglianti è molto lungo).
E il film parla proprio di questo, della subordinazione e del classismo, delle inadeguatezze e delle contraddizioni di un Paese in crisi profonda che si rispecchiano inevitabilmente nei vizi e nei soprusi (coscienti o meno) dei suoi abitanti (ma non solo della Corea del Sud, il film è ovviamente universale), un’amarissima riflessione su quelle differenze di ceto, di classe e di cultura che sono barriere taglienti e mortali attraverso cui Bong Joo-ho, tornando ai fasti di Memories of Murder e dei suoi primi folgoranti film, ci ricorda con sguardo penetrante ed imprevedibile l’impossibilità di convivenza fra poveri e ricchi senza che i primi vengano fagocitati dai secondi (ma le conseguenze arriveranno per tutti), tema già affrontato in maniera forse un po’ bislacca nelle maglie del blockbuster hollywoodiano con Okja e Snowpiercer e che qui, tornato a casa, riesce invece a restituire nel suo nitore argentino raggiungendo una forma perfetta e arrivando all’essenza delle cose senza fronzoli e sottolineature inutili con un film elegante, limpido ma stratificato al tempo stesso che scava nelle viscere dell’anima indagando su ciò che viene taciuto e che turba avvolgendoci come una gelida coperta di fango tra squarci visionari e silenzi ovattati, impennate poetiche e presenze spettrali fino alle liriche ed angoscianti sequenze conclusive, frammentando e dilacerando una forma che mette continuamente in discussione le nostre convinzioni e il concetto stesso di visione e il cui splendido production design va molto al di là della semplice bellezza formale marcando abilmente differenze e rivalità alla base del racconto e della visione del suo autore (sulla scia di Ballard e Romero, la famiglia vive in un limbo tra due mondi, fra le gelide e levigate superfici delle abitazioni dei ricchi e il sottosuolo putrescente dei poveri fatto di bibliche esondazioni d’acqua, detriti e topi di fogna, e il film assume gradualmente e magnificamente le fattezze di un’apocalittica metafora su questo: sulla tragedia di chi è nato in trappola e tenta vanamente di risalire in superficie).
È un film importante, straziante, attualissimo, Parasite, memore del perturbante di Hitchcock (la scala sotterranea di casa Bates…), della lucida crudeltà di Ferreri e Buñuel ma anche del Servo di Losey e del Teorema di Pasolini, un nobile esempio di cinema senza compromessi foriero della lezione dei grandi maestri del passato che hanno dissezionato come entomologi i conflitti di classe e della borghesia e che Bong rielabora attraverso la sua cultura e il vissuto del suo Paese con un film che è sicuramente crudele e sferzante ma che nella sua metallica crudeltà racchiude tutta la complessità della condizione umana e del nostro tempo, indicandoci e disvelandoci qualcosa di profondo ed inquietante sulla nostra natura attraverso un dosaggio magistrale di farsa e tragedia, satira e commedia nera, horror e comédie de mœurs, ingredienti base di un’opera dolorosa e forse definitiva sulla sopraffazione e la prevaricazione, sulle differenze martorianti e sulla violenza alla base di una società che è poi di tutte le società, sulle illusioni dei poveri e sulla presunzione e le false convinzioni dei ricchi, sul fatto che siamo tutti subordinati a qualcun altro e che la libertà dalle catene sociali è l’illusione più grande fra tutte, sussurrandoci pacatamente che se le fondamenta sono marce siamo tutti destinati a soccombere.
Cento di questi film, Bong.
La frase dal film:
“Sai quale tipo di piano non fallisce mai? Non averne uno”
“Sai quale tipo di piano non fallisce mai? Non averne uno”
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