PROFONDO ROSSO
Film
HORROR
FONDAMENTALE CAPOLAVORO ARGENTIANO, CHE RAPPRESENTA LA PERFEZIONE DELLA SUA FORMULA PER IL THRILLER E UN MOMENTO DI PASSAGGIO.
diDario Argento
concon David Hemmings, Clara Calamai, Macha Méril, Eros Pagni, Giuliana Calandra.
durata: 123 Min. produzione: ITA (1975)
Link al sito: https://www.mymovies.it/film/1975/profondo-rosso/
Il musicista inglese Marc Daly, in Italia per motivi professionali, è casualmente testimone del sanguinario omicidio della sensitiva Helga Ullman, che abita nel suo stesso palazzo. Poco prima, durante un congresso di parapsicologia, Helga aveva avvertito in sala una presenza malevola, di una persona che aveva già ucciso e che avrebbe ucciso ancora. Marc è turbato e incuriosito da quanto ha visto e decide di indagare per conto suo, trovando una sponda nella giornalista Gianna Brezzi che vede la possibilità di uno scoop. La pista investigativa che segue porta Marc in direzione di una scrittrice, Amanda Righetti, ma, quando arriva a casa sua per parlarle, la trova morta assassinata. Il killer ha colpito ancora e sembra in grado di prevedere tutte le mosse di Marc e Gianna, in una scia di sangue che si fa sempre più lunga e tortuosa.
Profondo rosso è un film fondamentale nella filmografia e nel percorso artistico di Dario Argento.
È, insieme, il perfezionamento definitivo della sua formula per il thriller e nel contempo funge da momento di passaggio verso l'horror tout court, un terreno di elezione in cui trasporre in modo compiuto quelle pulsazioni, quell'irrazionalità morbosa, quella predilezione per creare spavento che cominciavano a debordare in modo veemente dal format del thriller, del giallo sia pure all'italiana, un format che non riusciva più a contenere quegli elementi. Ci sono così molte anime che si muovono e si alternano all'interno del film: quella dell'interazione tra Marc e Gianna che appartiene alla commedia giallo-rosa con schermaglie spesso persino comiche, quella dell'indagine che si muove in modo rituale tra indizi e scoperte e quella più puramente horror, rappresentata dalla brutalità degli omicidi e dai dettagli quasi (o forse del tutto) soprannaturali che si inseriscono con forza nel tessuto realistico. La fusione tra questi elementi potenzialmente dissonanti è garantita dallo stile sicuro e inventivo di un Dario Argento ai vertici della sua arte registica, pienamente padrone della scena e del racconto e capace di innovazioni e invenzioni, visuali, ma non solo.
L'uso della musica è esemplare in questa ricerca dell'innovazione creativa: l'utilizzo del rock progressivo dei Goblin e di nenie infantili deformate e ossessionanti è significativo ed è rimasto un paradigma da imitare.
Di notevole fascino è anche l'uso di esterni in grado di caratterizzare in modo decisivo la visualizzazione della storia, da un bar che sembra dipinto da Edward Hopper a una villa tenebrosa e ricca di memorie alla piazza in cui Argento mette in scena in modo particolare i dialoghi tra il protagonista e il suo derelitto amico pianista: tutto congiura a generare un insieme significativo e incisivo, grazie anche alla mobilità pervasiva e creativa della macchina da presa. In tutto questo, i delitti rappresentano degli episodi quasi a sé stanti, realizzati con una cura e una fantasia particolari, mediante un accorto utilizzo di immagini, suoni e musica, in un modo coinvolgente che lascia da parte le parole per affidarsi alla pura messa in scena.
Ma anche altrove, come nella lunga ispezione della villa da parte del protagonista, il film sembra fermarsi per lasciare spazio alla visionarietà del regista, che sfrutta ogni occasione per caricare di tensione quanto avviene o talvolta non avviene. Argento non trascura nemmeno l'utilizzo di elementi bizzarri, come il pupazzo meccanico che all'improvviso compare incongruamente in scena con grande effetto visivo.
In questo contesto, la pura coerenza logica dell'intreccio non assume particolare importanza: i tasselli narrativi si mettono comunque insieme, per quel che serve, sino a un finale che può ancora sorprendere per la sua efficacia drammatica.
Consistente anche l'apporto del cast, pur con qualche eccesso di caratterizzazione che, oggi, può sembrare più caricaturale che efficace. Ma David Hemmings e Daria Nicolodi sono una coppia di protagonisti credibile e affiatata e Gabriele Lavia è perfetto nel tratteggiare un ritratto psicologico composito e complesso. Da sottolineare anche l'uso creativo del casting con l'impiego di una diva del passato come Clara Calamai, con tanto di sfruttamento a livello autoreferenziale del suo trascorso artistico.
Il volto attonito che si riflette nel profondo rosso di una spessa pozza di sangue è una chiusa significativa ed emblematica di un film epocale che rappresenta la summa del thriller argentiano e insieme il suo superamento da parte dell'autore.
Recensione da:
Rudy Salvagnini