Locandina Film SCIUSCIÀ

SCIUSCIÀ

Film

Drammatico

UN'OPERA PERFETTAMENTE RIUSCITA CHE È ANCHE UNA DURA DENUNCIA NEI CONFRONTI DEL CARCERE MINORILE.

di Vittorio De Sica

concon Franco Interlenghi, Rinaldo Smordoni, Maria Campi, Aniello Mele, Enrico Cigoli.

durata: 90 Min. produzione: ITA (1946)

Link al sito: https://www.mymovies.it/film/1946/sciuscia/

Pasquale e Giuseppe sono due ragazzini che nella Roma liberata dagli americani vivono lucidando le scarpe in strada al grido di 'sciuscià', neologismo sintesi dell'inglese 'shoe shine'. Pasquale è orfano di entrambi i genitori mentre Giuseppe mantiene i suoi insieme al fratello maggiore che è in un giro di riciclaggio di oggetti rubati. Un giorno i due vengono coinvolti in uno dei traffici illegali e finiscono al carcere minorile. Lì le loro personalità fondamentalmente innocenti subiscono il peso di un ambiente negativo.

Il primo premio Oscar ad un film straniero assegnato nel 1947 offre ancora occasioni di riflessione.

Un film che era costato produttivamente un milione di lire, acquistato dal distributore Lopert per la misera somma di 4000 lire gli fruttò un milione di dollari. Perché citare questi dati da box office per un'opera che è rimasta a buon diritto nella Storia della Settima Arte? Perché quelle 4.000 lire suonano come un testimone sgradevole di una condizione che talvolta torna a riproporsi. Quella cioè della mancata accettazione di una denuncia profondamente realistica che all'epoca toccò direttamente De Sica il quale, all'uscita dalla proiezione in un cinema milanese venne apostrofato con quello che sarebbe poi diventato un leit motiv nei confronti del neorealismo: "I panni sporchi si lavano in casa. Cosa diranno di noi all'estero?".

Il film, che precede di due anni un capolavoro assoluto come Ladri di biciclette, si inscrive nella scelta di fare cinema dell'autore che lo vede impegnato nel movimento neorealista con una visione non ideologica ma piuttosto definibile come umanitaria. De Sica, anche se in apertura definisce i personaggi e gli avvenimenti come puramente immaginari, aveva preso lo spunto da due ragazzini conosciuti nel 1944 che avevano effettivamente una passione per i cavalli che riuscivano a soddisfare grazie al loro lavoro di lustrascarpe. Ci voleva però la collaborazione con Zavattini (uno dei cinque sceneggiatori accreditati) per far diventare il quadrupede un personaggio simbolico di un sogno di riscatto e di integrazione sociale. Operazione perfettamente riuscita nella cavalcata dei due per le strade di Roma con i compagni di lavoro che assistono ammirati e, in senso purtroppo opposto, nel finale.

 

Tutto ciò in un film che rappresenta una dura denuncia, anche se criticata all'epoca per alcuni risvolti ritenuti un po' troppo patetici, nei confronti del carcere minorile. Il quale sembra un luogo in cui tutto converga non al fine di recuperare il minore a un ruolo positivo nella società quanto invece solo al punirlo lasciando poi che il suo eventuale lato negativo si potenzi o addirittura si sviluppi all'interno delle sue mura. È un luogo in cui dominano la durezza e il disprezzo, quando non la colpevole indifferenza, nei confronti dei giovani detenuti. Chi invece cerca di comprenderne la fragilità si percepisce e viene percepito come inadatto al ruolo.

Sono temi che non appartengono al passato e la cronaca carceraria recente ha provveduto a ricordarcelo. C'è una scena che sintetizza, come solo all'epoca si sapeva e si poteva fare senza il timore di cadere nelle pratiche basse della commedia in un film tenuto costantemente sul filo della drammaticità, ed è quella del primo interrogatorio. Il commissario che li accoglie sbriga rapidamente la questione inviando i due protagonisti al carcere minorile. Ciò che è più urgente per lui è farsi praticare un'iniezione dietro un paravento. Potrebbe sembrare un errore di sceneggiatura ed è invece il primo di una lunga serie di eventi di segno negativo che avverranno in un luogo in cui la definizione di 'maestro' viene depauperata del suo alto significato ed applicata invece ad infidi piccoli aguzzini.

Recensione da:

Giancarlo Zappoli