The Black Dahlia
Film
Drammatico
diBrian De Palma
concon Con Josh Hartnett, Scarlett Johansson, Hilary SwankAaron Eckhart, Mia Kirshner, Mike Starr, Fiona Shaw.
produzione: USA (2006)
Lee Blanchard e Bucky Bleichert sono poliziotti nella Los Angeles del 1947. Ex pugili in categorie differenti si incontrano e si scontrano sul ring e nella vita, dove condividono una donna e un'ossessione. La prima è la bionda e raffinata Kay, compagna di Blanchard e prostituta riabilitata, la seconda è Betty Ann Short, la Dalia Nera, prostituta perduta perché assassinata e orribilmente mutilata sotto le lettere che comporranno il suo epitaffio (Hollywoodland). La ricerca dell'assassino della Dalia, braccato e scovato sotto la polvere di stelle della città degli angeli, condurrà i due investigatori lontano da qualsiasi forma di moderazione emotiva e professionale. Ombre del e dal passato e amori illeciti dal sapore necrofilo finiranno per consumarli e per determinarne la sorte, opposta come il ghiaccio e il fuoco.
Lo squilibrio e l'irrequietezza degli antieroi creati dalla penna noir di James Ellroy tracima nella trasposizione cinematografica di Brian De Palma che apre la 63° edizione del festival del cinema di Venezia. Se il cinema dell'"intoccabile" De Palma mantiene tutta la sua eleganza geometrica, regalando alla sua storia un altro superlativo scavalcamento a scoprire, dietro le palazzine di Los Angeles, il corpo straziato della sua Dalia, dall'altra parte sembra smarrire la sua straordinaria capacità narrativa. Raffinato esteta della messa in scena, il regista americano tradisce un'imbarazzante, perché inspiegabile, mancanza d'intendimento. Lo straordinario romanzo di Ellroy, necessariamente compresso in centoventi minuti e liberamente aggiornato nel suo epilogo, investiga su un crimine restituendo l'affresco di un'epoca, quella del dopoguerra, e i ritratti degli uomini e delle donne che lo avevano subito o agito. La sua rilettura per lo schermo è incapace di prendere una direzione esplicita e finisce per scontentare sia i lettori del romanzo, questo è congenito, sia coloro che ignorano le pagine di Ellroy, questo è invece spiacevole. Il racconto è lacunoso: troppe omissioni o troppe informazioni, troppe piste intraprese e poi smarrite, sprecate in un finale spiegato in due battute.
I punti di forza, come quelli lirici ci sono e non mancano di incantare: la Los Angeles fine anni Quaranta ricostruita in Bulgaria da Dante Ferretti; la straordinaria Dalia di Mia Kirshner, fragile e vulnerabile come la Vivien Leigh di Un tram che si chiama desiderio, seducente e civettuola come la sua Scarlett, di cui pronuncia alcune battute in un inserto del film; l'interpretazione di Aaron Eckhart, farabutto e gentiluomo come il capitano Rhett Butler di Clark Gable, che toglie ogni speranza al più giovane e immaturo Josh Hartnett. Colpo di grazia è pure l'inserzione de L'uomo che ride di Paul Leni, film muto del 1928 che sostituisce e traduce in immagine L‘Homme qui rit di Victor Hugo, citato da Ellroy nel suo romanzo e chiave decisiva per lo scioglimento della trama. Scarlett Johansson e Hilary Swank sono invece fuori parte e fuori tempo, almeno quello del divismo e del cinema d'oro che iniziò quando Hollywood perse la Dalia, la testa e la Land.
Cherchez la femme...fataleLee Blanchard e Bucky Bleichert sono poliziotti nella Los Angeles del 1947. L'omicidio raccapricciante di una starlet di Hollywood, su cui sono chiamati a indagare, sconvolgerà le loro esistenze.
di Marzia Gandolfi
Approfondimento
E' con queste parole che la voce narrante (stessa inflessione disincantata che avevano gli 'invisibili” raccontatori di storie in noir dell‘età aureo-classica hollywoodiana) si sofferma sul personaggio interpretato da una bella, sexy e brava Scarlett Johansson, vertice ideale di un triangolo nei cui restanti lati si situa la coppia protagonista (eccellenti nei rispettivi ruoli Aaron Eckhart e Josh Hartnett) di un‘esemplare amicizia virile. Piccola suggestione come premessa a ciò che di essenziale ruota intorno a THE BLACK DAHLIA, l‘ultimo parto felice di un ritrovato Brian De Palma, in concorso alla 63. Mostra Cinematografica di Venezia appena conclusasi.
Il vecchio leone della cinepresa torna a mostrare gli artigli, dopo essersi lasciato sedurre, forse troppo a lungo, dalla rassicurante vita da gatto domestico che aveva creato qualche disaffezione nei suoi più fedeli ed esigenti estimatori. Torna un De Palma dallo stile alto e impeccabile, summa di tutte le sue migliori ricette tecnico-espressive, al servizio di quel serrato e torrido gioco dell‘erotismo e del “sensualismo al ralenty”, dunque estenuante, implacabile, rarefatto, strisciante, di testa e testicoli (anche di cuore) che infine arriva, e come, a scuotere il sistema “onirico/vigile” dello spettatore. De Palma rinuncia a De Palma con un progetto tratto dall‘omonimo e celebre romanzo di James Ellroy - in cui è tuttavia riconoscibile, nella rinnovata pienezza di forme e contenuti, l‘”ossessione” depalmiana -, per omaggiare il cinema classico ispirato ai grandi romanzieri alla Chandler, alla Hammett, alla Cain, dunque alla Ellroy. Il quale è anche cosceneggiatore, insieme a Josh Friedmam (autore dello script di La guerra dei mondi di S. Spielberg), per questa turgida opera che risente di una compressione narrativa (invariabilmente riscontrabile di tutti gli adattamenti e le trasposizioni filmiche di opere letterarie) che non tradisce o banalizza in alcun modo lo spirito, gli aspetti salienti e centrali del romanzo. Ispirato ad una storia vera che sconvolse l‘America del 1947, all‘omicidio ancora irrisolto di un‘attricetta in cerca di successo nella Hollywood corrotta e spietata di quegli anni, il regista mantiene inalterato, con uno stile impeccabile e asciutto, le cupe atmosfere del libro, i sordidi intrighi, il “maledettismo”, le derive esistenziali, le ambiguità psicologiche, l‘erotismo morboso, la frammentazione del plot, le dense atmosfere “neoespressionistiche”, il fulgido “B. & W.” - nonostante il girato sia colori… -, il velenoso sarcasmo “antiborghese” degno del miglior Altman, ed ogni altro elemento caratterizzante il “genere”. THE BLACK DAHLIA è un omaggio alla letteratura, al cinema, ai “costumi” di un‘epoca, e tuttavia riflette, incorrotti e rinvigoriti da una regia affatto originale e sapiente, lo stile e l‘estetica dell‘autore, il profondo legame con il suo glorioso passato che rimbalza nel presente. Ritmo incalzante, dialoghi scoppiettanti, recitazioni calibrate, un montaggio che “riordina” con geometrica esattezza ed elasticità le spezzettature tramiche (salti temporali che non abusano del risaputo flashback), sono gli ingredienti di base di una ricetta che mira allo spettacolo di gran lusso e gusto, all‘intrattenimento negletto ed insieme colto e intelligente. Maestro del “piano sequenza” - ve ne sono alcuni girati con una naturalezza tale da togliere il respiro -, l‘”invisibile” camera di De Palma si muove con leggiadra eleganza, e fa dimenticare spericolatezze, virtuosismi e tecniche eccelse (quasi zavorre nelle sue ultime pellicole), lo stesso “occhio” voyeuristico, medium del linguaggio e dell‘espressione, elemento del “triangolo”, parte integrante ma non ingombrante di un‘affascinante e simbiotica avventura cinematografica che ha come protagonisti l‘autore, lo schermo, il pubblico.
Approfondimentio a cura di Fabio Fulfaro in Fuoricampi